11° EDIZIONE CONCORSO LETTERARIO NAZIONALE – ONDA D’ARTE 2016

INFORMAZIONI SUL CONCORSO

Data scadenza presentazione racconti: 15 luglio 2016

Quota di partecipazione: nessuna

Lunghezza racconti: 9000 battute spazi compresi ed incipit escluso

Incipit obbligatorio di David Riondino:

“Era una notte buia e tempestosa. Pedro Armando de la Sierna, altrimenti detto El Giaguaro, terrore degli spagnoli del Caribe e capo dei Filibustieri delle Antille, scrutava dal castello della nave da corsa l’orizzonte incendiato dai fulmini. A babordo, tra un lampo e l’altro, gli parve di vedere il profilo di un galeone…”

Romualdo Zazzera, scrittore di racconti d’avventura per una casa di produzione di fumetti, abbandonò il computer e rispose al telefono. “Romualdo, ti ricordi di me?…” la voce veniva da lontano, da molto lontano. Romualdo la riconobbe immediatamente, e rimase immobile e silenzioso, con la sensazione di precipitare in uno dei suoi peggiori romanzi d’avventura.

Data di premiazione: 7 agosto 2016

Primo premio: assegno del valore di €.500

REGOLAMENTO CONCORSO LETTERARIO 2016

TEMPLATE RACCONTO 2016

SCHEDA DI PARTECIPAZIONE 2016

CLASSIFICA

David Riondino e Flavio Oreglio nello spettacolo Cabaret-Concerto che ha accompagnato la premiazione
 

PRIMA CLASSIFICATA: PAOLA DE STEFANI di BIELLA con CHOPIN

“Era una notte buia e tempestosa. Pedro Armando de la Sierna, altrimenti detto El Giaguaro, terrore degli spagnoli del Caribe e capo dei Filibustieri delle Antille, scrutava dal castello della nave da corsa l’orizzonte incendiato dai fulmini. A babordo, tra un lampo e l’altro, gli parve di vedere il profilo di un galeone…”
Romualdo Zazzera, scrittore di racconti d’avventura per una casa di produzione di fumetti, abbandonò il computer e rispose al telefono. “Romualdo, ti ricordi di me?…” la voce veniva da lontano, da molto lontano. Romualdo la riconobbe immediatamente, e rimase immobile e silenzioso, con la sensazione di precipitare in uno dei suoi peggiori romanzi d’avventura.
“Romualdo…?”
Romualdo grugnì.
Aveva sentito quella voce nasale e petulante una volta sola. Emergeva dalla nebbia indistinta di settimane prima, dalla foschia alcolica del sabato sera.
Aveva bevuto troppo ed era diventato rancoroso e aggressivo.
“Ci portano via i soldi in tutti i modi! Dobbiamo riprenderceli!” e sul come, aveva impartito precise istruzioni al suo compagno di sbornia. Chissà quante ne aveva sparate. Tante, a giudicare dall’emicrania dell’indomani, quando, con la testa nel freezer, era rimasto per tutto il giorno con il cervello trafitto da spilloni come una bambola voodoo.
Cercò di prendere tempo, mentre scavava nei ricordi. Decise di restare sul vago.
“Dimmi”.
“Missione compiuta” fece la voce, incrinata da querula fierezza.
“Compiuta?” ripeté Romualdo con ebete circospezione.
“Hai avuto un’idea fantastica. Faremo un mucchio di soldi… non posso parlare al telefono, ma tranquillo, facciamo a metà. Sono lì tra un’ora”.
Romualdo tentò di ricostruire la situazione, ma nessun ricordo utile venne alla superficie. Poteva dedurre alcune cose fondamentali:
a) doveva aver avuto un’idea
b) era stata una buona idea
c) avrebbe fatto un mucchio di soldi
Non riusciva a mettere in fila due pensieri anche perché era furibondo. Come si permetteva questo qua di presentarsi così, senza invito, di giovedì?
“Tagliategli la gola e datelo in pasto ai pesci!” sentenziò El Giaguaro.
Ecco, sì, magari era esagerato, ma doveva dirgli il fatto suo.
Stava arrivando, adesso lo avrebbe sentito…
“Romualdo, sei un genio!”
“Ah… Davvero?” rispose lui compiaciuto.
Yuri Celozzi era avvolto in un impermeabile cachi.
“Sì! Il rapimento, il riscatto… geniale!”
Romualdo sentì cedere le gambe.
“Hai rapito…”
“È in macchina” ansimò il Celozzi.
Il cane era raggomitolato sul sedile come un plaid arruffato e aveva vomitato; forse, aveva argutamente ipotizzato Yuri, soffriva di mal d’auto.
Era un labrador color miele, così grande da sembrare un orso, un…
“Cane per ciechi?” sbottò Romualdo quando vide l’imbragatura in alluminio e la pettorina con il logo dell’accademia cani guida MS onlus.
“Ho pensato che valesse di più” gongolò l’altro.
“Beh, sì, in effetti” convenne Romualdo “Dove l’hai preso?”
“È il cane guida di Vocelli”, il famoso cantante lirico, al momento in tournée all’estero “Sono andato alla sua tenuta. Non se n’è accorto nessuno”.
Bel colpo, pensò Romualdo.
E adesso?
“Tienilo tu, io non so dove metterlo” disse Yuri.
Portarono in casa il cane, docile e fetido.
“Chiedete il riscatto e fate fuori l’ostaggio!” urlò Pedro Armando de la Sierna “O ci vuoterà la cambusa!”
Sì, era la cosa giusta da fare. Romualdo si interrogò su come andasse soppresso un cane per ciechi, se ci fossero delle tecniche particolari o cosa.
“Ehi, guarda Romualdo” Yuri era sporto verso il cane così audacemente da mettere in mostra una generosa fetta di mutande:
“Dà la zampa. È ubbidiente”.
In effetti il colosso lanoso porgeva la zampa appena si allungava la mano. Romualdo si avvicinò. Il cane si accucciò sul posteriore, guaì e posò la zampona.
Però.
Davvero ben addestrato.
Sul collare c’era il nome: Chopin.
Romualdo si piegò verso il cane: “Chopin: seduto” gli disse.
“È già seduto” obiettò l’altro.
“Giusto. Allora, vediamo… Terra” ordinò. E il cane si allungò sul pavimento.
Passarono così il pomeriggio. Sperimentarono ordini come: “Vai; vieni; vai e vieni”; a tutti Chopin ubbidiva puntigliosamente, con una sorta di serena maestà. Romualdo ne fu deliziato. Quando si alzò per andare il cucina il cane lo seguì annusandogli il sedere. Lo sguardo interrogativo e il continuo leccarsi i baffi indicavano che l’ostaggio andava nutrito.
Lo avrebbe giustiziato l’indomani. C’era sempre tempo per queste cose così irreversibili.

Romualdo studiava la vetrina di “Zoolandia” in cerca di ispirazione. Ovunque scatolette Royal Canin, ma era cibo per gatti. Un randagio passò e cercò di accoppiarsi con la sua gamba e lui riuscì a liberarsene solo con una certa violenza.
“Un cane per ciechi” pontificò il commesso “va protetto contro le colonizzazioni del condotto auricolare, con protection salviette detergenti all’olio di neem”.
Romualdo annuì.
“E poi cosa vogliamo dargli? Cibo vegano, secco per alimentazione quotidiana, secco per diete veterinarie, umido o ghiotti biscotti?”
Romualdo tornò a casa con l’olio, cibo di ogni genere e shampoo “manti bianchi” all’argilla verde.
“Ha vomitato di nuovo” lo informò Yuri. Il cane rammollì di saliva un ghiotto biscotto e lo lasciò svogliato sul pavimento.
Provarono allora a farlo addormentare, ma cullarlo, accarezzarlo, parlargli non portò a nulla. Quando Romualdo intonò “Nessun dorma”, più che altro per esasperazione, Chopin si unì a lui gorgheggiando le arie della Turandot. Puccini si rivoltò nella tomba, ma solo tramontate le stelle, all’alba, Chopin fu vinto dal sonno.

“Perché l’ostaggio è ancora vivo?” Tuonò El Giaguaro, facendolo sobbalzare.
Romualdo non seppe rispondere. Era troppo stanco dopo la notte in bianco.
Però si rendeva conto che andava elaborato un piano per il riscatto. Yuri propendeva per una missiva con le lettere ritagliate, Romualdo per qualcosa di tecnologicamente più avanzato.
Alla fine si accordarono per una telefonata anonima.
Bisognava portare il cane ad una cabina, in modo che sentissero la sua voce. Fu quando lo issarono in macchina che scoprirono il bozzo. Una protuberanza tondeggiante all’altezza dello stomaco. Come se avesse mangiato la peretta da clistere, senonché Romualdo ricordò di non avere una peretta da clistere, preferiva le prugne secche o i kiwi, ma raramente, per via dei semini che gli si incastravano tra i denti.
Tastò il bitorzo che rientrava nel corpo quando spingeva. Che cosa era quella roba? Toccò di nuovo e Chopin guaì di dolore. Romualdo non ebbe tempo di pensare a che cosa avrebbe fatto El Giaguaro, pensò a un veterinario.
Certo, non si poteva rischiare che il cane venisse riconosciuto. Yuri acquistò uno shampoo colorante, che però fu sufficiente a tingere solo la schiena.
“Che strano labrador” disse il veterinario.
“È un labrador dalla gualdrappa” fu l’immediata replica di Romualdo che, come scrittore di racconti d’avventura era esperto di animali esotici.
Il veterinario non commentò.
“Bisogna operare subito” si limitò a dire “è un piccolo tumore all’esofago che per fortuna avete preso in tempo”.
Una vera fortuna. Cioè, l’intervento costò una vera fortuna, tremila euro, che i due dovettero scucire seduta stante.
Il cane volle che gli tenessero la zampa durante l’intera operazione ed essi se ne separarono solo quando tutto fu felicemente concluso.
“Mi raccomando medicate la ferita ogni 24 ore”.
Di ritorno all’abitazione, lo Zazzera e il Celozzi, a pezzi, incuranti della bizzarra allitterazione in zeta, decisero che il rapimento non faceva per loro.
Nottetempo, si recarono alla tenuta del Vocelli e riportarono Chopin sulla copertina rosa della cuccia. Lui annusò qua e là soddisfatto e prese possesso del suo rifugio.
I due fecero per andarsene, quando il cane guaì. Si voltarono e lo videro che li osservava interrogativo, la garza della ferita appena cambiata.
“Ciao, fa’ il bravo” disse Romualdo. Chopin venne a leccargli la faccia con un guaiolio di rammarico.
Fatto. Andati. Nessuno si era accorto di loro.
Ad eccezione delle telecamere di sicurezza.

“Eravamo rimasti che stavo avvistando un galeone… sai, la tempesta…” brontolò Pedro Armando de la Sierna.
Niente da fare, Romualdo aveva perso l’ispirazione, pensava a Chopin. Il cane gli mancava.
Si consolava sbriciolando il divano di patatine.
A furia di zapping finì su un rotocalco dove una bionda dalla chioma leonina stava intervistando Vocelli.
Per poco non gli venne un colpo.
Il cantante era nella sua tenuta, con a fianco un labrador dalla gualdrappa.
“Come mai ha interrotto la tournée?”
“Sono dovuto rientrare per problemi di salute del mio cane” disse Vocelli mostrando alle telecamere i punti di sutura di una ferita che Romualdo conosceva bene.
“Non mi ero accorto che Chopin fosse malato” disse, pensoso “ma qualcuno lo ha notato e lo ha curato. Gliene sarò grato per sempre”.
Romualdo balzò sul divano.
“Un benefattore?”
“Per certi versi. Ma come chiamerebbe qualcuno che entrasse in casa di nascosto e portasse via qualcosa di veramente prezioso?”
“Un ladro?”
“Certo. Ma se lo restituisse, ancora più prezioso?”
“Un indeciso?” sbatté gli occhioni l’intervistatrice.
Vocelli sorrise:
“Quando sei un non vedente riesci a giudicare in modo diverso: un ladro, da arrestare, o un benefattore, da premiare? A volte” chiosò “vedere è come essere immersi in una notte buia e tempestosa, accecati dal bagliore dei fulmini: ti lasci distrarre dalle apparenze”.
“Bello!”
“Parole non mie, ma di Pedro Armando de la Sierna altrimenti detto El Giaguaro, terrore degli spagnoli del Caribe e capo dei Filibustieri delle Antille. È un audiofumetto del quale vado pazzo, sono un grande fan!”

Romualdo non ascoltava più. Rideva; gli occhi gli si riempirono di lacrime e per un attimo tutto divenne liquido e luminoso e non riuscì più a vedere nulla.

 

SECONDO CLASSIFICATO: GIANPAOLO CASTELLANO di CASELLE TORINESE (To) con IL VERO PIRATA

“Era una notte buia e tempestosa. Pedro Armando de la Sierna, altrimenti detto El Giaguaro, terrore degli spagnoli del Caribe e capo dei Filibustieri delle Antille, scrutava dal castello della nave da corsa l’orizzonte incendiato dai fulmini. A babordo, tra un lampo e l’altro, gli parve di vedere il profilo di un galeone…”
Romualdo Zazzera, scrittore di racconti d’avventura per una casa di produzione di fumetti, abbandonò il computer e rispose al telefono. “Romualdo, ti ricordi di me?…” la voce veniva da lontano, da molto lontano. Romualdo la riconobbe immediatamente, e rimase immobile e silenzioso, con la sensazione di precipitare in uno dei suoi peggiori romanzi d’avventura.
“Hai la memoria corta, scrittore” riprese la voce.
“Ciao Paolo, come stai?”
Una risata sommessa, dall’altro capo dell’apparecchio.
“Io bene. Bene come uno che è tornato da una lunga navigazione. Molto, molto lunga. E farebbe volentieri due chiacchiere con un caro amico. Che ne dici, Romy?”
Romualdo inghiottì il grumo di saliva che gli si era inacidito all’istante.
“Si Paolo, sicuro. E’ che io sono tanto preso, tantissimo in questo periodo. Non so mai dove mi trovo ogni giorno. E se-“
“Capisco, Romy, capisco. Non ti preoccupare. Vengo io a cercarti. Stai tranquillo. Volevo solo essere sicuro che ti ricordassi di me. A presto”
Riappese.
Romualdo guardò la cornetta del telefono, il soggiorno del suo bell’appartamento, la porta dello studio, la porta di casa. La casetta comperata con i diritti d’autore per i romanzi sulla saga di El Giaguaro. Uscita dalla fantasia di due autori un tempo giovani e affamati. Romualdo e Paolo. Anzi, Paolo e Romualdo, a citarli in ordine di genialità e inventiva.
“Dannazione Paolo, perché sei tornato?” biascicò Romualdo. Poi compose il numero di Sabrina, la sua editor. Ma prima si versò l’ennesimo generoso bicchiere di rum. Delle Antille, ovviamente.
“Quanto hai bevuto?” scattò Sabrina non appena mise piede in casa di Romualdo.
“Il giusto per uno scrittore, no? Ma non è questo il problema. Paolo è tornato”
“Non è possibile. E’ all’ospedale criminale, non ti ricordi?”
“Ti dico che è lui. Mi ha chiamato”
“Uno scherzo”
“Uno scherzo non mi chiamerebbe Romy”
“Paolo, tu hai bisogno di riposare. Prenditi una vacanza”
“Solo perché i miei libri ultimamente vanno male? Mi state scaricando?”
“Nessuno ti scarica. Ma tu stacca per un po’ e vedrai che anche gli scherzi-“
“Non era uno scherzo”
Sabrina sospirò e alzò gli occhi al cielo.
“Come vuoi tu. Però ora devo andare. Sono le due di notte. Mi accompagni all’auto?”
La strada era deserta a quell’ora. L’auto di Sabrina parcheggiata di fianco a casa di Paolo.
Un sibilo sottile tagliò il silenzio. In fondo alla via si stagliava una sagoma avvolta in un pastrano, un cappellaccio floscio con una piuma copriva il viso.
“Lo vedi? E’ lui” balbettò Romualdo rivolto alla donna.
“Non vedo nessuno. Non c’è nessuno”
Guardarono assieme il fondo della via. Nulla. Sabrina passò una mano sul viso di Romualdo.
“Vai in casa e rilassati”
“Un tempo ti saresti fermata per la notte”
“Un tempo si. Quel tempo è passato”
“Per Paolo lo avresti fatto”
“Non essere ridicolo. Ti chiamo domani” furono le ultime parole di Sabrina mentre saliva in auto.
Romualdo verificò più volte l’antifurto e la chiusura di finestre e porte, interne ed esterne. Sotto il cuscino infilò un coltello da cucina, chiuse a chiave la porta della camera, si infilò i tappi nelle orecchie, raddoppiò la dose di sonnifero e finì la bottiglia di rum. Ma nulla poté contro il flusso di pensieri nella sua testa. Paolo e Romy che portavano i loro manoscritti alla importante casa editrice. Paolo e Romy che facevano amicizia con Sabrina, il braccio destro dell’editore. Paolo e Romy che si contendevano le grazie di Sabrina, con alterne fortune.
Al mattino, quando suonò il telefono, Romualdo doveva ancora chiudere occhio.
“Ciao Romy, bella notte dalle tue parti. Volevo salire da te, ma ho visto che avevi compagnia. Peccato non esserci stato. Peccato che tu mi abbia lasciato sulla cassa del morto, e senza la bottiglia di rum. Quella te la sei scolata tu, vero? Alla faccia mia”
Romualdo scaraventò il telefono contrò il muro. La stanza girava, vuoi per il rum, vuoi per il sonnifero, vuoi per la notte insonne.
Contemplò le macerie del telefono. No telefono, no Sabrina.
Doveva uscire, per forza. Andare fin da Sabrina e dirle che non erano fantasie, le sue. Paolo era tornato per vendicarsi del fatto che lui e Sabrina lo avevano fatto fuori, assecondando le sue manie di protagonismo che minacciavano di spezzare la macchina da soldi delle avventure di “El Giaguaro”. Sì, perché Paolo si era così immedesimato nei pirati di cui scriveva che parlava come un pirata, vestiva da pirata, si comportava da pirata. Idea splendida quando Paolo e Romualdo erano due sconosciuti che presentavano i loro libri nelle biblioteche di paesini spersi sulle colline. Idea meno vincente quando si trattava di discutere di linee editoriali e di anticipi sui diritti di autore, nel momento in cui i loro personaggi si erano diffusi in tutto il mondo.
Romy e Sabrina si erano allontanati dal Paolo che diventava sempre più cupo, scontroso, instabile, irascibile, violento, pericoloso. Pazzo, tanto da massacrare di botte il postino, un passante e due vigili urbani. Rinchiuso in un manicomio criminale, fino a che non fosse guarito. O scomparso.
E quando la polizia lo aveva portato via, mentre sbraitava di vendette e ammutinamenti, Romy aveva tirato un sospiro di sollievo. Non più mattane e pagliacciate. Via libera con contratti milionari. Via libera con Sabrina.
Aveva sepolto Paolo, in un angolo del suo passato e del suo successo. Fino a due anni prima i suoi libri scalavano classifiche su classifiche. Ora erano un po’ in calo, ma che problema c’era? Bastava concentrarsi di più, bastava cambiare la marca del rum, no? Il mese prossimo sarebbe stato il momento della nuova ispirazione.
Uscì in auto dal cancello. Scrutò l’angolo dove la notte era comparsa la figura con il mantello. Niente. Parcheggiò di fianco a un furgone bianco, davanti al cancello di Sabrina. Come scese dall’auto il portello laterale del furgone si aprì. Due energumeni a torso nudo e pantaloni a sbuffo acchiapparono Romualdo e lo scaraventarono dentro al furgone.

Nel capannone deserto si sentiva soltanto il ticchettio della pioggia sul tetto in calcestruzzo. L’interno era buio pesto, rischiarato appena da due torce che ardevano lontane, appoggiate ai muri. Romualdo stava seduto su una sedia di plastica, in mezzo ai due energumeni che lo avevano sequestrato. Davanti a lui, a una decina di metri di distanza, una scrivania di legno nero, dietro alla quale stava seduto un uomo avvolto in un mantello. La luce fioca impediva di distinguerne il viso. Poteva essere notte fonda, Romualdo non aveva idea del tempo che era passato. Ricordava solo una telefonata, una visione di cappellacci e mantelli, un furgone, la cassa di rhum delle antille che si era scolato fino a poco prima. L’uomo seduto alla scrivania si alzò a parlare.
“Ho riunito l’equipaggio e abbiamo votato. Non sei più il capitano. Per manifesta incapacità, codardia di fronte al nemico e trascuratezza del benessere della ciurma. Sarai abbandonato sull’isola detta Cassa del Morto. Assieme a una bottiglia di rhum e una pistola carica”
I due energumeni afferrarono Romualdo per le ascelle e lo spinsero verso il furgone bianco. L’uomo non oppose resistenza. Era inebetito dall’alcool, mescolato a mesi di sonniferi, tranquillanti, stimolatori dell’attenzione, eccitanti, anfetamine, cocaine, droghe leggere e pesanti. Tutto quello che serviva per rivitalizzare la fantasia di uno scrittore spompato e privo di idee.
“Ma tu non puoi essere Paolo!” biascicò Romualdo.
L’uomo abbassò lo sguardo. Il viso fu nascosto dalla falda del cappello piumato.

Non appena il furgone scomparve, la donna uscì da dietro un paravento, in fondo al capannone. Si diresse veloce verso l’uomo col cappello.
“Tutto come da programma, Sabrina”
“Come da programma”
“Mi spiace un po’ per lui”
“Non poteva reggere. Lo sapevamo tutti e due che sarebbe durato pochi anni. Ora scomparirà nel nulla, ma le avventure del Giaguaro continueranno”
“Si, grazie alla provvidenziale guarigione del buon Paolo. Questa roba non serve più, adesso”
L’uomo si sfilò il mantello.
Sabrina cinse il collo dell’uomo con le mani e lo baciò.
“Alla resurrezione di Paolo”
Lo baciò di nuovo.
“Come ci si sente fuori di là?”
“Te lo dico tra qualche giorno. Con gli avvocati è tutto a posto?”
“Certo. Pagati con i soldi di Romy. Una piccola trattenuta sui suoi compensi”
“Sei un demonio, donna”
“Più di quel che pensi, pirata. Ora devo andare. Tu mettiti al lavoro. Ci vediamo domani sera. Da me”
Un ultimo bacio. Sabrina si sciolse dall’abbraccio e si allontanò. Sentiva su di sé lo sguardo di Paolo. Accentuò il movimento delle anche. Doveva fare ancora una telefonata.

“Ciao capo. Tutto a posto. Romualdo in fase di scomparsa e Paolo di nuovo in pista”
“Ottimo. Sei sicura che funzionerà?”
“Sì. Assieme non sarebbero andati lontano. Abbiamo fatto bene a separarli e spremere Romy per primo. Poi è calato, ma non poteva fare altrimenti. Ha preparato il terreno per il vero talento di Paolo, l’amico che ritorna dalla pazzia per proseguire le gesta del Giaguaro. Vedrai, sarà un successo. Non ti deluderò”
“Non lo hai mai fatto”
Pausa.
“Che c’è?” Riprese Sabrina.
“Ho voglia di vederti. Passi stanotte?”
“Va bene. Intimo rosso o intimo nero?”
“Anche niente. Sorprendimi”
“A dopo”
Sabrina guardò la cornetta del telefono e sorrise.
“Uomini. Che credete ancora alle storie dei pirati. Poveretti”

 

TERZA CLASSIFICATA: CRISTINA GIUNTINI di PRATO con IN FUGA

“Era una notte buia e tempestosa. Pedro Armando de la Sierna, altrimenti detto El Giaguaro, terrore degli spagnoli del Caribe e capo dei Filibustieri delle Antille, scrutava dal castello della nave da corsa l’orizzonte incendiato dai fulmini. A babordo, tra un lampo e l’altro, gli parve di vedere il profilo di un galeone…”
Romualdo Zazzera, scrittore di racconti d’avventura per una casa di produzione di fumetti, abbandonò il computer e rispose al telefono. “Romualdo, ti ricordi di me?…” la voce veniva da lontano, da molto lontano. Romualdo la riconobbe immediatamente, e rimase immobile e silenzioso, con la sensazione di precipitare in uno dei suoi peggiori romanzi d’avventura.

Dopo pochi secondi Romualdo si riscosse, spinto dalla civile necessità di non mostrarsi scortese. Avrebbe preferito, certo, buttare giù il telefono senza dire neppure una parola, e turarsi le orecchie per non cedere ai successivi squilli che sarebbero sicuramente arrivati, ma sapeva bene che non sarebbe servito a niente. Se era riuscito a rintracciarlo, c’era un motivo preciso, Romualdo lo sapeva. E sapeva anche che non si sarebbe arreso con tanta facilità.
“Alarico! Ma certo che mi ricordo! Come stai?” E subito dopo, speranzoso: “Ma ti sento così lontano… Sei all’estero?”
“Macché estero! Sono in Piazza Garibaldi, a casa mia! Abbiamo qualche problema di linea, da qualche giorno. Tu, piuttosto, hai cambiato numero di cellulare e ti sei dimenticato di avvisarmi: se non avessi incontrato per puro caso Eraldo, col cavolo che sarei riuscito a ripescarti! Meno male che lui mi ha dato il tuo nuovo numero.”
Romualdo trattenne un’imprecazione. Maledetto Eraldo! E lui che aveva cambiato numero, con tutti i disagi che ne erano conseguiti, proprio per escludere Alarico dalla sua esistenza. Ma forse… “E dimmi, come ti va la vita? Hai trovato finalmente un impiego fisso?” buttò lì, incrociando le dita per una risposta positiva.
“Che intendi dire? Sai benissimo qual è il mio lavoro. Ti sei dimenticato che vendo enciclopedie? Eppure te ne avevo parlato diffusamente, a suo tempo!”
Eccola, la mazzata. No, Romualdo non se n’era dimenticato. Anzi, le interminabili discussioni con Alarico e i suoi disperati slalom per non ritrovarsi proprietario di quindici volumi pagabili in trecentoventisei comode rate mensili erano stati il suo incubo ricorrente, tre o quattro anni prima. “Ma come?” commentò. “Ancora enciclopedie? Credevo che, con l’avvento dei PC e dei tablet, per non parlare degli smartphone, fossero diventate un articolo obsoleto e anacronistico…”
“Ed è qui il tuo errore! Aggiornati: l’insuccesso degli eBook, ormai, è sulla bocca di tutti. La loro quota di mercato non si stacca dal misero due per cento, a completo favore dei libri cartacei, che continuano a essere ampiamente in testa nelle preferenze dei lettori.”
Romualdo cominciò a sudare. “Ma un tablet è grande quanto una rivista formato pocket, mentre un’enciclopedia ti riempie tre scaffali di libreria…”
“Appunto! Vuoi mettere quanto fa arredamento? Dà al tuo salotto quell’aria rétro che, negli ultimi tempi, è tornata di gran moda!”
“Internet, però è sempre aggiornato…” Ormai la voce di Romualdo si era ridotta a un soffio. Alarico rise. “Figurarsi! Con tutte le bufale che ci girano? Tu, invece, con un minimo sovrapprezzo, ogni anno potrai ricevere un volume di aggiornamento, contenente solo notizie verificate e confermate! Altro che l’informazione effimera dei social network…”
“Va bene!” fu l’urlo esasperato. “Vediamoci. Vieni domani mattina presso la sede di NuovoLibro, la mia casa editrice, via dei Fossi 12. Verso le 9, però, non dopo, OK?”
“Perfetto!” esultò Alarico. “Ci vediamo domani!”
Romualdo mise giù il telefono, e rimase a guardarlo con aria pensosa. Passarono pochi secondi prima che un sogghigno si facesse strada sul suo viso.

Al primo squillo, Romualdo guardò il display. Il secondo lo lasciò passare come un soffio di vento primaverile. Al terzo alzò gli occhi al cielo con fare riflessivo, al quarto si rassegnò a premere il tasto di risposta.
“Romualdo? Romualdo, ma dove sei?”
“Oh, Alarico!” fu la risposta, pronunciata con voce stanca. “Qual buon vento…”
“Vento? Ma mi prendi in giro? Sono qui davanti alla sede di NuovoLibro, ma tu si può sapere dove accidenti ti sei cacciato? Il portiere mi ha detto che stamani non ti sei fatto vedere…”
“Oh cavolo, il nostro appuntamento!” La voce si fece ancora più sofferente. “Alarico, scusami, ma sono al Pronto Soccorso…”
“Al Pronto Soccorso?”
“Sì, sai, stamani mi sono svegliato con un dito gonfio e dolorante: cosa vuoi, mica potevo andare dall’editore in quello stato! Sono qui che aspetto di essere visitato.” Un sospiro. “Ma non parliamo di me! Immagino che avrai altri impegni…”
“Ma figurati! Anzi, adesso vengo lì e ti faccio compagnia, sei contento?”
Gelo. “Ma non devi disturbarti, davvero…”
“Andiamo! Altrimenti, a cosa servono gli amici? Ci vediamo fra poco.”
Comunicazione interrotta. Romualdo sogghignò di nuovo.

Il telefono riprese a squillare. Romualdo non si disturbò neppure a guardare il display. Lasciò passare due squilli, poi rispose, calmo.
“Romualdo? E’ un’ora che ti cerco in mezzo a tutto questo casino! Dove sei?”
“Oh, Alarico! Ma da dove mi stai chiamando?”
“Come, da dove? Dal Pronto Soccorso, no? O sei già stato ricoverato?”
“Ricoverato? No, no. Mi hanno visitato subito dopo la tua ultima telefonata. Un giradito, niente di che: mi hanno dato una pomata e mi hanno rispedito via.” Una pausa. “Oh, ma tu eri venuto a farmi coraggio? Mi dispiace, Alarico, mi dispiace tanto, non ho pensato ad avvisarti…”
Alarico tacque per qualche secondo. Romualdo credette di poter sentire il rumore delle imprecazioni che giravano dentro la sua testa, e si impose di non scoppiare a ridere. “Sai, adesso devo procurarmi la medicina…”
“E quindi?”
“Vado alla farmacia del centro commerciale, almeno sono sicuro di trovarla aperta, a quest’ora.”
“Centro commerciale? Ma è perfetto: ti raggiungo lì. A quel punto sarà quasi mezzogiorno, e potrò illustrarti i vantaggi della nostra enciclopedia davanti a un bel piatto di pasta. Tutto questo girare mi ha messo appetito.”
“Perché no? Ti aspetto fra una quarantina di minuti davanti al negozio di musica.” E te le suonerò io, aggiunse, ma solo nella sua mente.

“Questa è la musica che preferisco!” fu il pensiero ironico di Romualdo, non appena sentì nuovamente lo squillo del cellulare. Per quanto, rifletté poi, alla luce della sconfitta contro la Germania, “Siamo una squadra fortissimi” iniziasse ad avere un sapore leggermente anacronistico. Si ripromise di considerare “Finché la barca va”. Prima, però, bisognava rispondere.
“Alarico! Senti, devi scusarmi, ma stavo morendo di fame, non ce l’ho fatta ad aspettarti: ho mangiato un boccone da solo.”
“Sì, sì, va bene, mangerò poi. Ma mi puoi spiegare quale negozio di musica intendevi? Questo posto è sterminato! C’è un negozio di CD, uno di HiFi, uno di strumenti musicali…” Una pausa seccata. “E, ovviamente, tu non sei davanti a nessuno dei tre!”
“Beh… Senti, Alarico… Il fatto è che, mentre mangiavo, mi sono ricordato che questo pomeriggio l’INPS è aperta…”
“E che accidenti c’entra l’INPS, adesso?”
“Veramente ci sarebbe dovuta entrare già qualche settimana fa, ma è colpa mia che mi sono sempre dimenticato di consegnare dei documenti… E visto che ero libero oggi, mi sono detto: quale momento migliore?”
“Eh già! Quale momento migliore?” L’esasperazione crescente nella voce di Alarico stava quasi provocando a Romualdo un vero e proprio piacere fisico. “Adesso, per favore, tu non ti muovi di lì e io arrivo, va bene?”
“Va bene, Alarico” rispose Romualdo, cercando di soffocare le risa. Aspetta e spera, ridacchiò, specchiandosi nel display.

A Romualdo sembrò che il cellulare esplodesse, tanto il suono fu improvviso e denso di nervosismo. Con una certa soggezione, prese in mano il telefono e premette il tasto di risposta con fare circospetto. Non ebbe neppure il tempo di pronunciare il nome di Alarico.
“Romualdo!!!”
“Alarico… Hem, sei all’INPS?”
“Certo che sono all’INPS. Sono qui da un’ora e non ti sei fatto vedere!
“Eh, scusami, capisco che tu sia arrabbiato per il contrattempo…”
“No, in realtà non sarebbe neppure per quello, ma, visto che ero qui, mentre ti aspettavo ne ho approfittato per far controllare la mia situazione contributiva.”
“Ah.” Romualdo annuì, anche se Alarico non poteva vederlo. “Capisco. Hai tutta la mia solidarietà.”
“Me ne faccio un baffo della tua solidarietà! Senti, se adesso non mi dici dove sei veramente…”
“Sono a casa.”
“A casa? Ma come a casa?”
“Sì. Anzi, adesso prendo l’attrezzatura e vengo a trovarti.”
“Ma dove?”
“A casa tua, dove ti prego di aspettarmi. Vedi, Alarico,” iniziò con voce suadente, “il mestiere di scrittore non mi permette di mantenermi, quindi mi sono dovuto arrangiare con un lavoro, diciamo, collaterale.”
“Cioè?”
“Faccio il rappresentante di depuratori di acqua potabile. Un prodotto molto importante. Ti rendi conto, Alarico, di quanti soldi spendiamo per acquistare l’acqua in bottiglia, senza pensare a quanto inquinano le bottiglie in plastica, alla fatica che facciamo per portarle a casa, a…”
Click.
Romualdo rimirò lo smartphone. Era quella, la soluzione, semplice ed evidente! Gli sarebbe bastato pensarci prima per risparmiarsi la fatica.
“Ancora al lavoro?” Tonia, sua moglie, si affacciò alla stanza. “Non faresti meglio a fare due passi per sgranchirti le gambe, finché è ancora giorno?”
“Romualdo le sorrise e le schioccò un bacio sul naso. “Ma se sono stato in giro per tutta la giornata! Non ho avuto un attimo di riposo!”
Tonia alzò le spalle. Ah, la fantasia degli scrittori! “Se ci credi tu!” ridacchiò.
Non solo, pensò Romualdo: per fortuna ci aveva creduto anche Alarico.

 

MENZIONE SPECIALE: PIERO MALAGOLI di MODENA con SPAZI COMPRESI

“Era una notte buia e tempestosa. Pedro Armando de la Sierna, altrimenti detto El Giaguaro, terrore degli spagnoli del Caribe e capo dei Filibustieri delle Antille, scrutava dal castello della nave da corsa l’orizzonte incendiato dai fulmini. A babordo, tra un lampo e l’altro, gli parve di vedere il profilo di un galeone…”
Romualdo Zazzera, scrittore di racconti d’avventura per una casa di produzione di fumetti, abbandonò il computer e rispose al telefono. “Romualdo, ti ricordi di me?…” la voce veniva da lontano, da molto lontano. Romualdo la riconobbe immediatamente, e rimase immobile e silenzioso, con la sensazione di precipitare in uno dei suoi peggiori romanzi d’avventura.
Percepiva il rombo dei tuoni lontani, e gli schiocchi secchi delle vele come rumori di rami spezzati.
– Pedro…!? – sussurrò con un filo di voce, mentre un brivido gelido condensava in una stilla di sudore lungo la spina dorsale.
– Que pasa cabron…?! – La voce arrivava da una lontananza siderale, tra scariche statiche simili a scrosci temporaleschi.
– Pedro… – ripeté Romualdo riprendendo fiato – …stavo pensando a te –
– Certo… gringo de mierda…! Dimmi che ci faccio su questa stupida barca…?! –
– Nave corsara… – lo corresse lo scrittore – …è una nave corsara… – sto scrivendo la tua avventura, come d’accordo –
– La mia avventura…? – si stupì Pedro Armando alzando la voce, sovrastando i rumori di fondo – …i patti non erano questi…! –
Romualdo allontanò impercettibilmente la cornetta dall’orecchio e alzò lo sguardo al soffitto in un moto d’insofferenza.
– Yo soy un toreador…! Sono un maldito torero messicano… e questa è la storia che tu devi raccontare…! Che ti è venuto in mente di mettermi in questa mierda di bagnarola in mezzo al mare in tempesta…?! –
– No… ascolta, Pedro… ascoltami… – cercava di interromperlo Romualdo, rimanendo travolto dalla veemenza dell’interlocutore.
– Perché se tu pensi di chingar Pedro Armando de la Sierna te ne pentirai amaramente, scrittore de mis cojones…! –
– Ora basta, Pedro, ascoltami…!! – Sbottò Romualdo con molto più slancio di quello che intendeva concedere – Lo so che gli accordi che avevamo preso riguardavano un romanzo ambientato nel secolo scorso a Città del Messico… la revolución, Villa, Zapata, le corride… –
– …las niñas..! – lo interruppe nuovamente Pedro… – Ricordati las niñas… che mi avevi promesso… –
– Certo, certo… – lo rassicurò l’autore che ora aveva assunto un tono pacato e professionale – Però, vedi… adesso è saltato fuori questo concorso… con un incipit che recita… –
– Lo so cosa dice l’incipit…! Lo hai appena scritto… – interruppe nuovamente l’altro tra disturbi statici e rombi di tuono – …Era una notte buia e tempestosa… Davvero geniale…! Perfino quel pendejo di mozzo che mi hai messo al fianco avrebbe saputo fare di meglio…! –
– Senti… – tagliò corto Romualdo, deciso a riprendere il controllo di una situazione che gli stava sfuggendo di mano – …io ho intenzione di scrivere questa storia, perché mi sembra convincente e perché ho il disperato bisogno del premio per pagare gli affitti arretrati… – Intanto, recatosi in cucina, mise un po’ d’acqua nel bollitore e recuperò una bustina di camomilla dal pensile sopra il lavello. La mano gli tremava leggermente, per la concitazione e per l’assurdità del colloquio che stava sostenendo – Quindi… ho visto il tuo nome e ho pensato di affidarti la parte principale… non sei contento…?! –
– Certo che no, cabron…! – Romualdo allontanò di nuovo la cornetta dall’orecchio con un’espressione di disgusto. Voleva mettere fine a quel supplizio e ritornare al suo racconto interrotto – Io sono abituato al clima secco, al caldo torrido, alle cervezas… alle señoritas che mi acclamano nell’arena… ho un animo profondo e sensibile… tu mi sbatti nel mar delle Antille, inseguito dai galeoni spagnoli, con una ciurma de hijos de pu… –
– Pedro…!!! – lo zittì nuovamente – …ascoltami per un momento… l’assonanza del tuo nome con quello di famosi filibustieri… mi ha spinto ad affidarti un ruolo di primo piano… pensavo che un professionista del tuo calibro potesse impersonare splendidamente il protagonista di questa storia… – Ascoltò il silenzio ronzante all’altro capo dell’apparecchio, sperando che la sviolinata avesse prodotto l’effetto desiderato. Ebbe un sussulto di gioia mentre, controllando l’acqua che ancora non aveva preso a bollire, risentì la voce di Pedro.
– Está bien… – concesse l’altro con un sussurro – …non sono i termini che avevamo concordato, ma… está bien… – Il sollievo di Romualdo sopravvisse pochi secondi, fino al momento in cui la successiva domanda arrivò dal mare tempestoso delle Antille – …e di quanti capitoli è composto questo romanzo…? –
– Si tratta di un racconto… – bofonchiò lo scrittore in un accenno di tosse.
– Quanti capitoli…? – domandò nuovamente Pedro, sovrastato dal chiaro boato di un colpo di cannone – …discúlpeme, ma in questa mierda di sceneggiatura in cui mi hai messo, arrivano anche le cannonate, adesso… –
– Novemila battute… – buttò fuori tutto d’un fiato Romualdo, strizzando gli occhi in attesa della reazione.
– Novemi…?!?! – sentì arrivare dall’altra parte, insieme a una bordata di spingarde da fare rabbrividire.
– …spazi compresi… – precisò allora, deciso a mettere sul piatto la scomoda verità. Attese per trenta secondi che la scarica d’insulti decisamente pirateschi si esaurisse, poi riavvicinò la cornetta all’orecchio.
– Escúchame bien… – stava ammonendolo il filibustiere – …io, Pedro Armando de la Sierna, che con un nome del genere avrei potuto figurare in un romanzo di García Márquez, con tutti quei meravigliosi superlativi assoluti… non mi abbasserò a restringere la mia complessa personalità in novemila mierdose battute… –
– …spazi compresi… – puntualizzò nuovamente Romualdo, ormai deciso a rendere pan per focaccia all’insolenza del suo protagonista.
– …niente tori, niente señoritas… – stava proseguendo l’altro nella concitazione – …solo acciughe sotto sale, mare in burrasca e cannonate… sai che ti dico escritor…? –
– Benissimo… – replicò l’autore senza nemmeno attendere l’epilogo del discorso – …vorrà dire che invece di Pedro Armando de la Sierna, il mio protagonista si chiamerà Henry… o Bartholomew… o Jack… i nomi non mi mancano di certo… e tu, invece di essere il protagonista di un racconto di pirateria non sarai proprio… – attese sadicamente un secondo prima di affondare il ferro – …nulla…! –
– Ma… – sentì balbettare dall’altra parte, ma non gli diede modo di proseguire.
– Se vuoi qualcuno che indaghi il tuo inconscio, devi trovarti un grande romanziere… ma dubito che la Allende cerchi protagonisti del tuo spessore. Io sono soltanto un povero scrittore di racconti per fumetti, quindi… se ti va di fare il filibustiere per novemila battute… –
– Spazi compresi…? – sentì domandare dalla voce scoraggiata di Pedro.
– Sì… spazi compresi… – confermò, poi proseguì asciutto – …allora datti da fare e cerca di sfuggire al galeone spagnolo che vi ha scovati a nord di Antigua. Altrimenti esci dalla mia vita e non farti sentire mai più… –
– Sarà una brutta battaglia…? Questo mare mi sta dando la nausea… –
– Non lo so… non ci ho ancora pensato… – rispose secco.
– Está bien… – sentì ripetere ancora una volta; il contegno era risentito, quasi altezzoso, il nobile animo da matador lo stava dominando – …ma ricorda, pendejo… guardati le spalle, perché se Pedro Armando de la Sierna uscirà vivo da esta mierda de situación, ti braccherà finché non avrà trovato vendetta… – le grida dell’arrembaggio in corso erano percepibili sotto le minacce e i tonfi dell’abbordaggio sovrastavano il rombo dei tuoni – …porterò questo galeone fin sotto le tue finestre, maldito, e ti strapperò il cuore con un uncino, escritor de mis cojones…! –
Romualdo schiacciò il tasto rosso e interruppe la comunicazione. Aveva sentito abbastanza e dopo pochi secondi, guardando il piccolo schermo del telefono ancora illuminato, già dubitava della credibilità della telefonata. Il fischio del bollitore lo strappò dall’apprensione che lo attanagliava. Sapeva che tutto era inverosimile, ma non riusciva a togliersi quella brutta sensazione di dosso. Accese la luce, perché la penombra in cui era immersa la cucina gli parve infida e ingannevole. Scosse la testa, sorridendo delle sue paure, mentre vuotava l’acqua bollente nella tazza. Vi immerse la bustina di camomilla cercando di riallacciare i fili della storia che aveva in animo di raccontare. Il respiro era trattenuto e appena sibilante, mentre le sue mani sudavano impercettibilmente.
C’era una battaglia navale da raccontare… gesta eroiche da far compiere al suo protagonista… ma l’inquietudine non se ne andava, quelle minacce l’avevano angosciato. Osservò il filtro contenente l’infuso di camomilla galleggiare sull’acqua, imbibirsi pian piano, inclinarsi sul fianco e lentamente affondare, scomparendo nell’acqua fumante.
Finalmente sorrise, sollevato… aveva il finale per la sua storia.

Paola De Stefani (al centro) riceve il premio dall’Assessore a Cultura e Turismo del Comune di Ceriale Marinella Fasano